IL MESSAGGERO - Marco Borriello, ex attaccante della Roma e del Milan tra le altre, ha rilasciato un'intervista al quotidiano. Ecco alcune delle sue risposte relative a domande sulla squadra giallorossa:
Che ne pensa del calcio di oggi?
“Quando ho cominciato io c’era più passione, non si giocava per i soldi, il calcio era un qualcosa che ti faceva sbucciare le ginocchia, spaccare la testa. Poi pian piano si è trasformato in un business. Per buona parte della carriera mi spostavano da una squadra all’altra e sono diventato cinico anche io. La passione è diventata lavoro. Oggi si è tutto moltiplicato. Oggi il trasporto che aveva uno come Gattuso non ce l’ha nessuno. Non ci sono bandiere, i calciatori sono aziende. Si è perso l’amore, che è diventato solo affare. E’ un gioco in cui i procuratori spostano giocatori e aumentano i guadagni: è il loro lavoro, ci sta. Tutto questo ferisce i tifosi, che non fanno in tempo a innamorarsi dei giocatori. Le storie come quella di Totti e Maldini non le raccontano più“.
Poteva essere bella la Roma di De Rossi?
“Dispiace per quello che è accaduto, Daniele è un mio amico. Ma quando ti metti in discussione, certe disavventure possono accadere. Magari sono stati sbagliati i modi e i tempi, ma certe cose le devi mettere in conto. I proprietari americani evidentemente avevano strategie differenti, che io non ho ben capito”.
Roma come si incastra nella sua vita?
“Un luogo di passaggio, come Milano. E’ una città che ho amato, ci vengo spesso”.
Da un punto di vista calcistico poteva andare meglio?
“Sono arrivato con la famiglia Sensi e le cose andavano bene, 17 gol in pochi mesi. Poi con gli americani, Sabatini e il progetto, anzi, Er progetto, è cambiato tutto. Ma non era chiaro quale fosse realmente. Ero titolare, mi hanno messo davanti chiunque”.
Come in quella famosa partita in Coppa Uefa.
“In panchina con Totti, giocarono Okaka e Caprari. Sabatini disse che Francesco era il ‘sole sui tetti di Roma’, io ‘un problema’ e allora cominciai a cercarmi squadra”.
A Milano segnò lei la rete della vittoria: dicembre 2010, c’era Ranieri in panchina.
“Fu un gioco del destino. Io volevo stare al Milan, e qualcuno doveva pagare: segnai proprio di stinco, un rimpallo”.
Con Ranieri come si trovava?
“È un uomo che si fa volere bene. Uno all’antica, serio, lo vedo bene come coordinatore tecnico. In futuro sogno per la Roma un ritorno di De Rossi con lui dirigente, perché è uno che sa sempre cosa fare, anche come usare il linguaggio”.
Che rapporto aveva con lui?
“Mi stimolava. Io dopo le partite se mi ammorbidivo, mi urlava ‘non devi essere appagato'”.
Dovbyk?
“È bravo, forse gli manca un po’ di malizia”.
Il compagno più forte?
“Paolo Maldini, giocatore totale. Poi è chiaro sono stato al fianco di tanti calciatori forti. Ho giocato con sei Palloni d’Oro, Rivaldo, Ronaldo, Sheva, Kakà, Ronaldinho e Cannavaro. In più Buffon, Del Piero e Totti, Palloni d’Oro ad honorem. Posso essere soddisfatto. Sono stato un calciatore importate per le piccole e un soldato per le grandi”.