Sembra incredibile come solo un anno fa la Roma si sia battuta strenuamente per legarsi con Gianluca Petrachi, da ieri sospeso dall'incarico di direttore sportivo.
A portare alla dissoluzione del rapporto, con possibili strascichi (si dice infatti che Petrachi voglia fare causa per mobbing) è stato il puntiglio che il d.s. avrebbe mostrato anche negli ultimi giorni, con l'episodio dell'intervista di Pallotta in cui non era stato citato. Gli era stato chiesto di scusarsi col presidente, a cui giovedì aveva fatto inviare (non conoscendo l’inglese) un messaggio definito irriguardoso. Non ha raccolto l’invito, sostenendo anzi che avrebbero dovuto scusarsi con lui. I tentativi di mediazione di Fienga sono stati inutili, perché l’ego del direttore («la mia squadra, il mio allenatore») non si è sgonfiato. Tanti i motivi di frizione, dai metodi del preparatore Lippie al mancato appoggio del club.
Rischiosa poi l’apparizione a fianco di Fienga nel viaggio per conoscere Fonseca (era sotto contratto col Torino), le parole dure su Dzeko nel giorno dell’insediamento (alle quali il bosniaco avrebbe voluto rispondere, fu poi fermato) e i meriti che si era attribuito proprio nella trattativa sul rinnovo del numero 9, che avevano portato a una indagine federale non gradita. Poi la gaffe post Roma-Cagliari, quando definì il calcio «uno sport non per signorine». E non sono piaciuti neppure i modi rudi utilizzati a Trigoria, tollerati finché non hanno invaso la sfera di Fonseca.
(Gasport)