LA REPUBBLICA (M. PINCI/E. SISTI) - «Abbiamo paura e non abbiamo un capo». A volte bastano le parole di una voce importante dello spogliatoio della Roma per inquadrare il problema, una delle tante spine di questa rosa che perso il suo profumo.
PAURA, GRUPPO, PERSONALITA’ – Una crisi d’identità, che da tecnica è diventata umana. Esibizioni intermittenti, vittorie esaltanti ma compulsive (Fiorentina, Lazio), svariate prestazioni sotto anestetico. La paura è tanta ed è figlia delle indecorose imbarcate. Secondo i dirigenti ora i calciatori temerebbero la giocata: si lavano pilatescamente mani e piedi. Prima si aiutavano, ora preferiscono dire: «Sbrigatela tu». Il blocco mentale (collettivo) si aggiunge ad uno scollamento dell’intesa di gruppo. Fino a prova contraria, in campo non c’è un leader in grado di trascinare la squadra nei momenti di difficoltà: l’ultimo era stato Strootman, che da solo è lecito supporre nascondesse i limiti della panchina nel conferire carattere e struttura alla squadra in campo.
DISORGANIZZAZIONE TATTICA – Tra loro i giallorossi ne parlano, ma non per risolverla, quanto perché la considerano un discorso chiuso. E’ capitato che abbiano chiesto all’allenatore: «Mister, possiamo lavorare sulle diagonali?». La risposta è stata no, se anche con l’Atalanta la linea della difesa giallorossa sembrava un elettrocardiogramma. Di chi è la colpa? Poco di Rüdiger, molto di Garcia, molto dei suoi “tattici”, di Bompard e Fichaux. La Roma di Pallotta si preoccupa di affidare il sito ufficiale a un esperto inglese ma sorvola sulla propria difesa. Il risultato è che i calciatori si aiutano alla buona, improvvisano. Il sito funziona.
LA PALUDE SOCIETARIA – A luglio la dirigenza ha scelto di continuare con Garcia, limitandosi a “commissariarlo” attraverso una struttura guidata dal neo preparatore Norman. E anche adesso, di fronte agli scricchiolii di una possibile, imminente frana, evitano il cambio perché nessuno ha il potere per decidere, senza Pallotta, che è in arrivo ma non si vede a Roma dal 16 giugno, e forse perché non c’è una vera alternativa. A giugno dicono arrivi Conte (nonostante la chiusura ribadita anche ieri da Tavecchio). Forse nemmeno gli ottavi salveranno Garcia?
ROSA RIDOTTA ALL’OSSO – Campagne acquisti mirate alle plusvalenze, giocatori acquistati che non piacciono all’allenatore, rosa ridotta all’osso, non si contano più di 16 effettivi “graditi” al tecnico, ormai con la lingua di fuori, e minutaggi grotteschi garantiti a giovanissimi e malvisti. Fatali a metà stagione gli infortuni da gamba non più elastica o gli errori da stanchezza estrema (Digne con l’Atalanta). E Gervinho torna indispensabile (con lui 2,4 punti a partita, senza di lui 1 punto a partita). Non dovrebbe mai esserlo. Lui è un di più. Come Salah. Inevitabile tornare sul mercato, due o tre giocatori di livello.
IL FLOP DELLA COMUNICAZIONE – La Roma ha smesso di credere in se stessa quando Garcia annunciò, alla fine dello scorso anno: «Vinceremo lo scudetto». Avrebbero dovuto impedirglielo. Dopo Barcellona: «Prendere un gol o sei è uguale». Avrebbero dovuto impedirglielo. Ma a parte lo stadio, e i soldi degli ottavi, alla proprietà cosa interessa davvero?