LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Un anno fa dopo Ferragosto stavamo ancora elaborando il lutto per le cessioni di Nainggolan e Alisson, accoglievamo con soddisfazione Nzonzi, non aspettandoci la reincarnazione di Vieira ma non potendo immaginare che avrebbe reso più o meno come Vainqueur. La Roma preparava la trasferta di Torino, Monchi si vantava in conferenza stampa di presentare quasi un calciatore al giorno, ma ciò significava che la squadra semifinalista europea tre mesi prima, diceva addio a quella continuità tecnica che si auspicava potesse aprire qualcosa che somigliasse a un ciclo.
Coloro che non si facevano affascinare (o fregare, fate voi) dalla follia tattica del decennio, Pastore mezzala, erano preoccupati dall’assortimento di una mediana che poi, lo diranno i fatti, non avrebbe avuto né capo né coda. Strootman non era ancora stato ceduto, ma nel frattempo era già impossibile comprare. Non per indigenza ma per cambi date sul calendario del calciomercato.
Nella settimana che portava all’inizio della Serie A, neanche il più preoccupato e scettico tifoso della Roma o commentatore di calcio poteva presagire una stagione da tregenda, con un sesto posto finale immondo. Perché la Roma comprava nomi, non da pallone d’oro, ma di livello. Olsen era pur sempre il portiere della Nazionale svedese, Cristante il miglior centrocampista italiano del precedente campionato, Nzonzi il mediano di caratura internazionale. Persino Pastore accendeva la macchina dei ricordi fino a farci sperare che avremmo rivisto almeno in parte il giocoliere del Palermo. Speravamo in Schick e Karsdorp, fino a considerarli i veri nuovi acquisti della Roma. È andata come sappiamo.
Un anno dopo, il mercato non è chiuso, si aspetta il difensore di livello. Più che vendere pezzi pregiati, la società ha chiuso col passato, dato il via a una nuova era assumendosi mai come stavolta ogni responsabilità sugli esiti della stagione, nel bene e nel male, dicendo stop a De Rossi, ripartendo senza Manolas, mandando baci a El Shaarawy. E quando sembrava che l’unico senatore a rimanere in sella fosse Kolarov, ecco, anzi riecco, Dzeko. A oggi è lui la notizia più importante dell’estate giallorossa trascorsa a rispondere a sondaggi tipo “meglio Icardi o Higuain?”. Gli altri nomi, quelli degli acquisti, fanno probabilmente meno rumore di chi arrivò nel 2018, ma danno la sensazione di essere più utili nella formazione di una squadra. Per ciò che significa la parola squadra.
L’estate di Petrachi e Fonseca ha un profilo più basso di quella dei predecessori, che tra slogan e culto dell’ego applicato al calcio hanno contribuito allo sfacelo stagionale. Il nuovo direttore sportivo e il nuovo allenatore sanno che proclamare, annunciare, promettere, sono verbi che fanno perdere tempo, creando pericolose aspettative. E che non fanno più presa sui tifosi della Roma. Disincantati ma non arresi. Desiderosi di concretezza, di equilibrio tattico, dei gol di Dzeko terribilmente mancati negli ultimi dodici mesi, della riduzione del numero di infortuni muscolari, della consacrazione di Pellegrini, dell'esplosione definitiva di Zaniolo, dell’inserimento dei nuovi, del rilancio di cui nuovo era lo scorso anno ma è finito assieme a tutti gli altri in un tunnel senza uscita. E del difensore centrale. Che alla voce priorità chiuderà una campagna acquisti senza effetti speciali o sogni realizzati, ma con una logica finalmente ritrovata.
In the box - @augustociardi