Ettore Viola, figlio dell’ex presidente Dino Viola, è intervenuto ai microfoni di Centro Suono Sport 101.5, per parlare della proprietà americana, delle differenze con le gestioni del passato e della sua creatura fondata 40 anni fa: la Roma di calcio a 5. Ecco le sue dichiarazioni.
Il futuro di Mourinho sulla panchina della Roma è ancora incerto. Se la famiglia Viola fosse al comando, rinnoverebbe il contratto?
"Penso di sì. Nonostante sia un allenatore esigente, sta ottenendo ottimi risultati, riportando gente ed entusiasmo allo stadio. È ancora un allenatore di prima fascia e, se si prende questo tipo di allenatore, bisogna poi dargli i giocatori giusti. Secondo me, la Roma dovrebbe fare una campagna acquisti diversa".
Nota delle differenze tra la vostra gestione e quella americana?
"Gestioni diametralmente opposte. Ai miei tempi, la scelta dei giocatori da comprare veniva fatta dall’allenatore, condivisa dal presidente e ratificata dal direttore sportivo. Così facendo i risultati arrivano e i nostri sono sotto gli occhi di tutti: Uno scudetto, quattro volte la coppa Italia e considerati da molti tra le squadre più forti del mondo. Inoltre, Dino Viola è stato un presidente che ha combattuto quasi sempre contro il palazzo".
Una volta disse che per suo padre l’unica prerogativa era quella di far vincere la Roma. Oggi è ancora cosi, anche per gli americani?
"Me lo chiedo spesso, ma facciamo un passo indietro: la presidenza Pallotta, da me combattuta giornalmente, è stata una delle pagine più nere della storia romanista, seconda solo Ciarrapico. Pallotta non faceva calcio, ma altre cose. Per fare calcio ci vuole cuore, entusiasmo, soldi e dedizione. Nella prima gestione americana non c’era niente di tutto questo. Ora ci troviamo con un’altra gestione americana, ma per fare calcio ci vuole un minimo di esperienza nel settore. Per vincere bisogna saper capire cos’è il mondo del calcio. Penso che ci sia bisogno di qualche italiano che possa suggerire cosa sia meglio fare o non fare. Mio padre entrò nel calcio sapendo che ci avrebbe perso dei soldi, oggi nessuno è disposto a farlo".
Esattamente quarant’anni fa lei fondò la Roma di calcio a 5.
"Fondai la Roma e contemporaneamente feci diventare questa disciplina uno sport professionistico, facendolo entrare in federazione. Grazie anche alle competenze di Giorgio Perinetti (direttore sportivo Roma) sono riuscito immediatamente a creare una squadra fortissima che vinse subito lo scudetto. Vincemmo a San Marino una tesissima finale contro il Genzano. Vinsi 3 titoli consecutivi. Successivamente lasciai la guida nelle mani di un mio amico, ma la squadra naufragò nel più assoluto e totale anonimato. Adesso invece la Roma di calcio a 5, grazie anche all’attuale presidente Gianluca Di Vittorio, sta tornando ai livelli che merita. Ai miei tempi ci furono migliaia di tifosi ad assistere alle finali scudetto. Vennero anche un’infinità di vip ad assistere a questi successi".
Un aneddoto di quei tempi?
"Quando facemmo le finali a San Marino, la squadra partì col Pullman, ma per una serie di motivi che non vi sto a spiegare, dopo una sosta in autostrada, il mister di allora (Giampiero Forte) rimase a piedi. Fortunatamente lo passai a prendere io con la macchina e lo portai personalmente allo stadio. Giampiero Forte era un ottimo allenatore, ma abbastanza esuberante".